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Se un giorno al nord un viaggiatore


Se fosse un suono sarebbe un’eco, se fosse un colore sarebbe verde. E bianco. E blu. E arancio. Se fosse un sapore sarebbe aspro come un frutto di bosco. Se fosse un odore saprebbe di muschio e di mare. Ma se la Norvegia fosse un luogo sarebbe le Lofoten.

Perché lassù, lontano lontano dai dolori del mondo il tempo si ferma. Il cuore rallenta. Il mare è ferito improvvisamente da scaglie di monti affilati e gole e sassi. Gocce di terra nell’oceano. Ed è là che la Norvegia nasconde il suo cuore.

Che si arrivi via mare, via terra o via aria le isole sorelle spuntano improvvisamente dal nulla, gelosamente celate da muraglie di nubi e spuma di mare. E per godere della loro struggente bellezza ci vuole coraggio e speranza.


Il coraggio di chi vuole esplorare e scoprire, del viaggiatore che cerca se stesso e si stupisce ancora del mondo e la speranza che i capricciosi dei del nord concedano un po’ di sole.

Perché è in quel momento, quando la luce accarezza i crinali dei monti e si tuffa nelle baie di sabbia bianca che acqua e pietra giocano a riflettersi l’un l’altra in un caleidoscopio commovente e indescrivibile di riflessi, suggestioni e ombre. Dal bianco accecante delle spiagge agli smeraldi, poi blu, poi indaco dei mari fino al creta e al rosso delle cime.


E in quel momento ti senti parte di un tutto, partecipe alla meraviglia del mondo, in pace.


E chi avrà il coraggio di arrampicarsi sulle cime più aguzze e di guardare in giù, avrà in tasca per un attimo tutta l’immensità del nord, la profondità insondabile degli abissi e la leggerezza lieve dei cieli, insieme promessa e minaccia. 


E in quest’odissea nel dramma del bello non sembrerà di trovare un attimo di tregua. Perché ad ogni scorcio, ad ogni ponte, ad ogni curva sulla tortuosa lingua d’asfalto che trafigge l’incontaminata natura del luogo, ad ogni diversa inclinazione del sole, ad ogni ombra creata dalle nubi, il panorama cambia e ti regala qualcosa di imperdibile e nuovo. E sembra quasi di non avere abbastanza occhi o abbastanza sensi per poter cogliere la danza di suggestioni che la crudezza del bello produce.


E quando il cuore batte troppo, quando tutto ti pervade si può trovare riparo in una vecchia rorbu. Dal tuo nido caldo la struggente maestà del paesaggio diventa dolce e resta a tua disposizione alla finestra. Quasi a chiamarti, ad attenderti per quando ti senti pronto ad abbracciarla ancora. Per un tramonto, un tè sul pontile o, per i più folli, persino per un tuffo nel cuore ghiacciato dei tropici polari.


E da quell’anima di legno, quella casetta fragile alla fine del mondo, senti il richiamo dei merluzzi, dei pescatori che per primi hanno abitato quelle terre. E ti assale la nostalgia di chi si è perduto ed è rimasto lì sul fondale. Imprigionato per sempre in una meraviglia che non ha mai avuto il privilegio di godere.


E se le Lofoten fosse un posto solo sarebbe Reine. Appisolata nella stretta gola tra i monti più alti, tenuta a galla da scorci di mare, disseminata di rorbuer dei primi uomini, patria di gabbiani, sognatori ed eroi. 


Ed è là, seduto sul molo  a guardare l’infinito mistero del mondo, che ti voglio aspettare, amore.


Stefano 

Liberoeffe







  

 

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